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Lele Ghisio

Lele Ghisio

Il dibattito sulla sostenibilità “sostenibile”: i peccati del greenwashing

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To be, or not to be, that is the question.

Essere, o non essere, questo è il dilemma.
Esserlo davvero o fingere di? Sorridere o dipingersi sulla faccia un ghigno alla Joker?

Il dibattito sulla sostenibilità “sostenibile” e come distinguerla da quella un po’ farlocca è ormai d’attualità. Di necessaria attualità, come certe disambiguazioni.

A livello aziendale è ormai chiaro che cambiare le parole del marketing utili a raccontare il prodotto non è sufficiente. Anzi, produce lo sgradevole effetto della circonvenzione di cui il consumatore accorto s’accorge. Sono sempre più i giovani, i più giovani, a fare mostra di consapevolezza smascherando palesi operazioni di greenwashing (che, tra l’altro, in Italia viene considerato pubblicità ingannevole). Così come ben testimonia un recente articolo del Sole 24 ore. E i giovani, che già lo sono nel presente, saranno, a maggior ragione, i consumatori del futuro.

Ciò che è quindi necessario cambiare è il paradigma.
E il cambio di paradigma richiede coraggio e consapevolezza.

La consapevolezza che la sostenibilità non possa essere una condizione modaiola o leva incondizionata di marketing, ma che essa sia una necessità reale. Nostra e del mondo, nostra nel mondo. Comprenderla quindi nella pianificazione produttiva deve divenire abitudine e attitudine di ogni progetto economico e di business.

Fare allora della sostenibilità il proprio abito mentale, avendo ben presente il fatto che se per il marketing tutto è sostenibile, nulla in realtà lo è davvero. Ci vuole coerenza tra il processo produttivo e il prodotto.

La prima difesa possibile è vivere con serenità, e altrettanta consapevolezza, il tema delle certificazioni. Non burocratiche imposizioni, sofferte e mal sopportate da imprenditori e lavoratori, ma obiettivo a cui tendere per rendere esplicita la sostenibilità della propria azienda e del proprio prodotto.   

In proposito TerraChoice ha formulato The Sins of Greenwashing, un breve elenco dei peccati che le aziende che si dichiarano eco-friendly commettono allo scopo di “tutelare” i consumatori, buono per distinguere i percorsi virtuosi dalle scorciatoie mistificatorie:

  • Sin of the hidden trade-off (trade off nascosto): descrivere la sostenibilità di un prodotto centrando l’attenzione solo su alcuni aspetti e trascurando ciò che invece ha un più forte impatto ambientale.
  • Sin of no proof (mancanza di prove): descrivere una sostenibilità ambientale non supportata da informazioni verificabili facilmente o da una qualche opportuna certificazione di parti terze.
  • Sin of vagueness (vaghezza): contare sul fraintendimento del consumatore limitandosi a dare indicazioni generiche sul prodotto.
  • Sin of worshiping false labels (falsa etichetta): usare etichettature false o contraffare certificazioni.
  • Sin of irrelevance (irrilevanza): utilizzare info ambientali non utili o importanti per il consumatore.
  • Sin of lesser of two evils (minore dei mali): dare un’informazione incompleta sull’impatto generale puntando solo su info specifiche di prodotto.
  • Sin of fibbing (falsità): affermare il falso.

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